giovedì 26 agosto 2021

Crisi ecologiche: "la tecnologia risolve"

I seguenti indicatori di stato della salute della biosfera mostrano una crisi ecologica congiunta, vale a dire che mostrano, presi tutti insieme, che siamo già adesso in uno stato situato oltre i confini planetari, in un territorio, cioè, sconosciuto rispetto agli ultimi 10-12 millenni in cui si è mossa la civiltà umana:

- Tasso di alterazione dei suoli
- Tasso di emissioni di climalteranti
- Tasso di estinzioni di specie
- Tasso di alterazione dei cicli chimici naturali (carbonio, azoto, fosforo)

Ed in più, per quanto non ci siano soglie concordate vista la complessità e l'enorme varietà delle composizioni chimiche delle sostanze in circolazione, va considerato il tasso di dispersione di inquinanti in ambiente a cui contribuiscono rifiuti, emissioni in atmosfera, nelle falde e nei suoli in vari settori delle attività umane che di certo appaiono tutt'altro che entro i limiti della sostenibilità, visti i tanti report scientifici pubblicati in merito.
(cfr. Studi dello Stockholm Resilience Center per gli indicatori ecologici summenzionati)

In questo stato ha molto poco senso parlare di un solo aspetto ecologico alla volta (tipo "meglio solo questo che niente"): oggi ad esempio nei media prevalgono, relativamente, le emissioni dei climalteranti causate principalmente dai sistemi di produzione energetica,  ma garantire lo stesso (se non di più) ammontare di energia anche per il futuro, per quanto "verde" possa essere, vuol dire continuare a garantire l'aggravarsi del carico complessivo sul pianeta con ciò che tale quantità di energia alimenta (obsolescenze tecnologiche sempre più frequenti, nuovi scavi e miniere, produzione di merci e di rifiuti, nuove emissioni da chimica sintetica, occupazione di nuovo suolo, ecc) con buona pace degli altri indicatori in crisi, che significa continuare ad avvcinarsi alle condizioni che innescheranno comunque un collasso ecologico legato a condizioni climatiche già complesse, unite all'accelerazione delle estinzioni di specie e delle quantità di ecosistemi compromessi.
Tutto quanto sopra, o non è sufficientemente chiaro perché presi da altre priorità, o è chiaro e si è in malafede per interessi, o ci troviamo nel girone infernale del "wishful thinking" (si crede ciò che si desidera, senza basarsi sulla realtà, "non potrà mai accadere") che contribuisce a tenere bassa l'attenzione e la classificazione di priorità.

Presi insieme, ad ogni modo, quegli indicatori dicono che si deve necessariamente ed urgentemente ridurre i consumi totali di materia e di energia per provare a rientrare nei confini, non si può provare a controllarne uno trascurando o addirittura degradando gli altri: il risultato che gli studiosi delle dinamiche ecologiche prevedono resta sempre il collasso.
Ma non esiste tecnologia che permetta una diminuzione di consumi di materia ed energia in un sistema votato alla crescita (economica). Lo confermano sia molti studi indipendenti che i report di agenzie istituzionali europee.
Al limite le tecnologie possono intervenire sull'efficienza relativa e sul disaccoppiamento relativo nei consumi (agevolare risparmi unitari), il resto lo dobbiamo fare noi nella ricerca e nella scelta, sia individuale che a vari livelli di comunità, della sufficienza e del limite con le conseguenti implicazioni politiche, in modo da evitare che i risparmi unitari non vengano vanificati da crescite globali, dovute ad obsolescenze sempre più frequenti e da proliferazioni di massa con demografie crescenti.
Ad ogni modo è una questione di cosa fare e come, non di se decrescere.

Passare a nuove tecnologie di massa (5G, IoT, DVB-T2, Auto elettriche, TAV, blockchain, per indicarne alcune), per vere o presunte nuove comodità, passare a tecnologie vero- o presunto-verdi per assecondare i fabbisogni energetici e di materia senza porsi limiti e senza tenere presenti gli indicatori di cui sopra insieme a ciò che rappresentano è catastrofico.
Facciamoci caso: in ogni piano di transizione aggettivata come "ecologica" che prova a dispiegare queste soluzioni non sono presenti valutazioni e monitoraggi di indicatori ecologici, ma indicatori economici e stato di avanzamento del dispiegamento di opere, tecnologie ed infrastrutture.
Credere che le soluzioni risiedano in economia circolare, riciclo, rinnovabili che rimpiazzano tout court le fossili, tecnologie che dematerializzano, senza relazionarle e ricondurle ad una diminuzione del volume complessivo delle attività umane è catastrofico.
Sperare od essere indifferenti alla crescita dei consumi pro-capite in alcune aree del mondo ed in alcune fasce sociali è catastrofico.
Sperare od essere indifferenti alla crescita demografica in molte aree del mondo, è catastrofico.
Dire "il capitalismo, il mercato ed il liberismo non lo permetteranno" è catastrofico.
Bisogna essere consapevoli dell'urgenza e del tipo di urgenza, prima di dire chi permetterà cosa.

Francesco P.

sabato 29 maggio 2021

Biodinamico antiscientifico...ha parlato lo scientifico...ha parlato

In occasione dell'approvazione del DDL sull'agricoltura biologica (DDL 988 - "Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell'acquacoltura con metodo biologico") è partito un "dibattito" sul biodinamico e sull'istituzionalizzazione di pratiche che possono o non possono avere un senso scientifico in ambito agronomico: premetto col sorriso beffardo che corni, fasi lunari, vesciche non fanno parte della nostra pratica familiare. Il biodinamico non mi appassiona, ma il dibattito mi fa incazzare per la piega presa perché arriva trainato da un'altra serie di attacchi nel campo agricolo condotti grosso modo dalle stesse persone e con le stesse modalità, nell'estate scorsa nei confronti del biologico in occasione delle prime discussioni al Senato della stessa legge.

C'è la questione di cosa (non) portano avanti di scientifico, infatti, persone come la Cattaneo (che ha votato contro il DDL 988 ed è un pò il personaggio più in vista in questi dibattiti, essendo senatrice e biologa) in ambito agricolo. La Cattaneo fu tra le prime a parlare contro il biologico dichiarandolo una "favola bella ed impossibile". Non sono un fan nemmeno del biologico, ci sono pratiche meno impattanti, più rigenerative, soddisfacenti, belle, e che tengono conto di più indicatori ecologici così come sono più articolate ed adattabili in base al territorio, rispetto alla rigidità prevista da un protocollo a cui contribuisce la necessità di una certificazione. Ad ogni modo le critiche al biologico sono le stesse che continuamente si ripetono, più in generale, per le pratiche alternative al "convenzionale".

Le critiche sostanziali al biologico mosse dalla Cattaneo erano e sono sulle rese agricole basse rispetto all'agricoltura convenzionale, basata su ed evolutasi dalla "rivoluzione verde" (fondata su pesticidi, diserbanti e fertilizzanti da sintesi chimica, nonché sull'uso di macchine pesanti) oltre che sul falso senso di qualità dato dal biologico, i falsi biologici/truffe, i prezzi.
Mi soffermo sulle rese, è un concetto trasversale alle pratiche agricole, non vale solo per il biologico contro l'agrindustriale.
La questione rese agricole è una falsa questione se non la rapporti ai tempi e agli indicatori ecologici fondamentali alla vita che ne sono impattati.
Se su un suolo produci 80 per tempi lunghi rispetto ai tempi umani (>100 anni), ottieni molto di più rispetto a produrre 100 per 20 anni per poi dover passare ad altri terreni perché hai "esaurito" il tuo suolo di partenza. Un danno irreversibile, di fatto.
Questa che sembra una esemplificazione infantile in realtà si riflette nei dati FAO che mostrano che la quantità di superficie agricola è rimasta sostanzialmente la stessa negli ultimi 30 anni (intorno ai 4.8 mld di ha, dopo una crescita esponenziale dei precedenti 100 anni), ma si deforesta, si occupa suolo e si coltiva in posti dove prima non si arrivava: quindi evidentemente tanto si abbandona da un lato, per basse rese/esaurimento, spesso irreversibilmente, e tanto si occupa altrove.
Non solo: hai lasciato nel terreno e nelle falde un mix di chimica da sintesi che continua a cumularsi, procurando anossie nei corpi idrici ed inquinamento da mix chimico sintetico che incide sulla nostra salute e su quella delle altre specie e quindi sulla rigenerazione di vita e suoli (le estinzioni di specie sono, insieme al clima, la crisi ecologica più grande in corso).
Non basta: hai usato risorse fossili, non rinnovabili perché fosfati (minerali) e nitrati (da processi che passano per il metano) tali sono, così come a base di fossili sono sia il ricorso a mezzi sempre più grandi e sofisticati sia le traversate dei prodotti agricoli da una parte all'altra del mondo. Il tasso di alterazione dei cicli dell'azoto e del fosforo sono anch'essi fra gli indicatori ecologici oltre soglia critica secondo le scienze ambientali.

Su questi aspetti scientifici, ampiamente documentati in molte ricerche pubblicate e peer reviewed, siamo invece molto indietro nella pratica, ma anche nella teoria se una senatrice-scienziata come la Cattaneo prende tanti plausi, se sulla sua stessa linea si schierano centinaia di scienziati spaccando il capello in quattro sui corni e se nel frattempo non ci si guarda intorno ad osservare il degrado degli ecosistemi a cui contribuiscono pesantemente le pratiche agricole più diffuse che non sono certo quelle biodinamiche o biologiche.
Il prossimo passo di progresso (sono un progressista) dovrebbe essere alimentato dalla comprensione dell'accelerazione rapida degli effetti dell'approccio "rivoluzione verde" all'agricoltura, di cui ho fatto cenno, e che molto probabilmente comporterà, dopo il cappottamento sociale in corso (agricoltura diffusa in via di estinzione e proletariato agricolo sempre più sfruttato), anche quello fisico, se non facciamo passaggi sull'agro-ecologia prendendo quanto di buono c'è nella permacultura, nell'agricoltura naturale, l'agri-forestry, dalla stessa "criminale" biodinamica. Dove a prevalere, cioè, non sia l'idea del sempre di più, del più presto, dell'ovunque ma del sufficiente, del quando si può, del dove si può, del limite, del rigenerativo e del duraturo.

Francesco P.

sabato 24 aprile 2021

Come degradare un territorio

L'agricoltura e l'autoproduzione di cibo per uso familiare e per scambi non scompaiono da un territorio perché il suolo viene cementificato al 100%. Non ce n'è bisogno, basta di meno, molto di meno.
Ci sono punti di non ritorno, superati i quali, si innesca una spirale che si autoalimenta fino a ritrovarsi  in poco tempo, nel giro di qualche lustro, in un territorio da periferia urbana abbandonata a se stessa.

Basta anche solo "promettere" insediamenti industriali, strade, nuove ferrovie, logistica, traffico.
In pratica il suolo agricolo e la cultura che ne contraddistingue il territorio scompaiono per asfissia. Gli vengono sottratte maestranze, attrezzi, artigiani e poi con loro vanno via le aspettative, il linguaggio, le conoscenze e le relazioni.
Ed è un attimo che un territorio che prima produceva frutta, ortaggi, cibo, odori, un minimo di bellezza, di varietà e di colori, insieme ai rapporti umani, poi si veste di grigio per non toglierselo mai più.


A voler fare una analogia con altri ecosistemi, pensiamo ad una foresta imponente come quella amazzonica, non serve tagliare tutti gli alberi per portarla alla morte. 

Basta superare i punti di non ritorno - noti a chi studia il suo sistema dinamico complesso fatto di clima specie vegetali ed animali, geologia - che si innescano cicli che si auto-rinforzano e portano migliaia di kmq di foreste ed habitat per migliaia di specie a diventare una savana.

Francesco P.

PS: Il nuovo volano per lo sviluppo industriale del Sannio. Ognuno aggiunge il suo.

mercoledì 31 marzo 2021

La transizione tecnologica: inversione di obiettivi con strumenti

Premessa
Questo qui di seguito è un mio commento all'articolo di Luca Martinelli apparso oggi su Il Manifesto e che ho ritenuto opportuno riportare nel nostro blog anzichè sotto al post facebook dove lo ha condiviso, causa lunghezza.
Luca posso dire di conoscerlo un pò di persona. l'ho incontrato in un paio di occasioni, a Benevento a parlare di acqua pubblica, poi in occasione di una fiera di "Fà la cosa giusta", oltre che de visu abbiamo scambiato qualche battuta sui social e, cosa che credo altrettanto importante, l'ho apprezzato nei suoi libri sul consumo di suolo e sul tema dell'acqua oltre che per il suo costante impegno giornalistico, anche di inchiesta, sulle tematiche ambientali.
Gli faccio i complimenti per la prima pagina de Il Manifesto (il suo debutto in "prima" ?), ma credo sia più utile cogliere l'occasione per discutere della sostanza dell'articolo, in cui Luca ha riportato i concetti e le posizioni espressi da Legambiente in uno dei vari incontri che questa associazione ha avuto con il ministro Cingolani. E' un incontro a cui non ho assistito ma ho avuto modo di leggere il PNRR redatto da Legambiente, oggetto dell'incontro, ed ho anche colto un leitmotiv, una dinamica ricorrente in altri documenti ed incontri col ministro che temo possano segnare il percorso e che riporto di seguito nel mio commento.

Transizione ecologica ?
Ho notato che negli incontri, nelle audizioni, e nei documenti dedicati alla transizione ecologica, del ministro Cingolani come delle associazioni ambientaliste da lui prese in considerazione, non si fa che menzionare sistematicamente impianti, opere, tecnologie ed infrastrutture, ma non c'è mai alcun riferimento agli indicatori ecologici che considerano di interesse, che rappresentano lo stato ecologico attuale e che andrebbero monitorati lungo tutto il percorso per arrivare allo stato ecologico, esplicitato e promesso, di approdo della transizione ?  
Va respinto subito ed in anticipo l'argomento secondo cui il ministro ha un incarico a tempo limitato per cui non gli si può chiedere o imputare più di tanto: un PNRR così imponente, forse una tantum, con conseguenze che possono essere imponenti sia nell'una che nell'altra direzione, va gestito con la massima attenzione.

Non andrebbero messi in primo piano gli indicatori biofisici in forte sofferenza come il tasso di alterazione di stato dei suoli, dei cicli chimici naturali (azoto, fosforo), di dispersione di inquinanti sintetici (pesticidi, diserbanti, fanghi, rifiuti, emissioni e scarichi  domestici ed industriali), di emissione di climalteranti, di riduzione di habitat e di ecosistemi (biodiversità) ed altro ancora in prossimità dei tipping points come evidenziato con urgenza dagli scienziati ? Non sono queste sostanzialmente le variabili indipendenti di una transizione ecologica ?

Si parla di strumenti ma mai esplicitamente degli obiettivi ecologici misurabili, di un piano altrettanto esplicito, e che sarebbe anche ben finanziato (forse è anche questo un dettaglio da non trascurare, per la chiave di lettura). 

Eppure gli ecologi, gli scienziati per eccellenza che dovrebbero supervisionare una transizione ecologica, avrebbero il know how per farlo, ma noi abbiamo un tecnologo a decidere ed associazioni allineate ad essere consultate.

Cosa comporta ed a cosa è dovuto questo approccio che inverte gli strumenti con gli obiettivi ? Di fatto si rifugge dalla complessità di tenere insieme gli indicatori della biosfera in crisi che sono maledettamente intrecciati e correlati tra loro, inoltre quegli stessi strumenti individuati e ripetutamente menzionati dagli attori di cui sopra giocano purtroppo un ruolo importante a loro volta con la loro stessa impronta ecologica misurata lungo tutto il ciclo di vita. Del resto perchè anche laddove ci sono presunte forti coscienze ecologiche (es. Paesi del Nord Europa), ed in cui molte di quelle soluzioni sono avanti, le impronte sono da 2,3,4 pianeti e perchè proliferano i report (ce ne sono anche di istituzionali, ormai) che mettono in discussione e negano la fattibilità delle crescite verdi ?

Un inciso: ho notato che al più nel mainstream (ministeri, stampa di grande diffusione, associazioni ambientaliste prese in considerazione per consulenze) si accenna ai climalteranti (alla CO2) - che si evitano con l'uso o adozione (non lungo tutto il ciclo di vita) di una determinata trecnologia - prestandosi questi ultimi forse meglio al gioco della verniciata verde da fonti rinnovabili, il replacement WWS (Wind, Water, Solar) a saldi di produzione ed utilizzo energetico invariati in una situazione in cui anche ad energia ecologicamente gratis la biosfera comunque collasserebbe.

Resta il favore comunicativo dell'accettabilità della maggioranza, provando ad illuderci con l'efficacia di cambiamenti tutto sommato in linea col business as usual in cui si invocano miracoli tecnologici ed in cui il tema della crescita dei consumi, elefante nella stanza, resta un tabù. D'altronde finanziare con centinaia di miliardi un PNRR, in un contesto votato alla crescita, può avere pochi margini di scelta in quanto a scenari possibili di sbocco e quello più probabile resta quello che in tanti esperti, anche nel passato, hanno considerato lastricato d'oro ma nella direzione sbagliata.
Un refrain che infatti è quasi cinquantennale, ma con il non trascurabile dettaglio di trovarci ora in uno stato della biosfera complessivamente ai limiti, come riconosciuto dagli ecologi.


Limiti planetari al 2015 di Rockstrom, Steffen et al

Francesco P.

PS. Da campano non mi è sfuggito questo par. del PNRR di Legambiente. Ancora energia da rifiuti, ancora riferimenti a bioenergie. Ma come si può parlare di circolarità, così ?

"Transizione energetica.
In Campania si produce il 44% di elettricità da rinnovabili.
Affinché si realizzino gli obiettivi del primo PEAR (Programma Energetico Ambientale Regionale) c’è bisogno di risorse adeguate,altrimenti si trasformerebbe in un libro dei sogni. La transizione energetica campana passa attraverso più settori: per le bioenergie a partire da rifiuti, agricoltura e zootecnia attraverso impianti di digestione anaerobica per produrre biometano e compost di qualità; [...] per le aree interne [...] promuovendo la realizzazione di progetti di agrivoltaico per incentivare lo sviluppo locale attraverso la multifunzionalità dell’agricoltura. [...]"


lunedì 15 febbraio 2021

Prevenzione rifiuti vs bioplastiche da tecno-ministro

Alcuni esperti incaricati dall'associazione dei comuni virtuosi (ACV) hanno presentato un documento di proposte articolate per la riduzione dei rifiuti.
La riduzione può essere una questione di come, un pò meno di quando, sicuramente non di se. 

Intanto abbiamo un superministro della transizione ecologica entusiasta delle tecnologie bio-usa-e-getta e questo è un fatto, ha dei brevetti in materia.
Poi vediamo se si vogliono spendere centinaia di miliardi per far decrescere i consumi di materia ed energia anche con il contributo di un piano di prevenzione rifiuti. Ne dubito.

Un estratto dal documento di sintesi dell' ACV:
"Tra i principali obiettivi che le politiche nazionali e regionali in materia di prevenzione dei rifiuti dovrebbero perseguire, coerentemente con quanto previsto dal citato art. 180 del D.lgs 152/2006 e più in generale con il “nuovo” paradigma dell’economia circolare, si evidenziano in particolare:

-Favorire la transizione dal monouso verso sistemi basati sull’utilizzo di prodotti riutilizzabili;

-Favorire la riparazione, la condivisione e lo scambio di beni usati;

-Favorire lo sviluppo, la nascita e il consolidamento di modelli di business ispirati al modello “Product as a service – Paas” (prodotto come servizio), in modo tale da incoraggiare la progettazione, la fabbricazione e l’uso di prodotti efficienti sotto il profilo delle risorse, durevoli, scomponibili, riparabili, riutilizzabili e aggiornabili nonché l’utilizzo di materiali ottenuti dai rifiuti nella loro produzione;

-Ridurre gli sprechi, anche attraverso il recupero a fini sociali dei prodotti (alimentari e non) in eccedenza sul mercato o con caratteristiche non idonee ad essere immessi sul mercato;

-Rafforzare il ruolo della prevenzione e del riuso all’interno dei regimi di responsabilità estesa del produttore, in particolare definendo un quadro di riferimento normativo che consenta di utilizzare quota parte delle risorse derivanti dal contributo ambientale per il sostegno di iniziative di riduzione dei rifiuti alla fonte e per favorire la transizione dal monouso al riutilizzabile;

-Favorire la trasformazione culturale, formando, comunicando e sensibilizzando sulla reale portata del cambiamento necessario e sugli strumenti a disposizione;"


Per approfondire seguite questo link che contiene anche il documento finale presentato al Ministero dell' Ambiente

Temo che non sia tempo perso valutare il nuovo ministro alla Transizione ecologica considerando anche quanto riportato in questo documento dell IIT in cui sono elencati i brevetti dell'Istituto di cui Cingolani all'epoca era Direttore Scientifico, relativi al packaging biodegradabile.
Non riesco ad immaginare una politica della riduzione del packaging e dell'usa e getta come una delle priorità assolute nella gestione dei rifiuti, da parte di questo governo con queste premesse...
Di seguito un estratto dall'executive summary dello stesso documento di cui sopra che esalta la transizione di Coca Cola al PlantBottle*. Ma il vuoto a rendere che fine fa ?

"#1 Trend: Bio or Plant-based Plastics despite of falling crude oil price We’ll realize that our lives will not come to a standstill if petroleum-based plastics were to disappear from the market. Plant-based plastics or bioplastics are poised to play a greater role in packaging and will play an even greater role in shaping consumer attitudes towards brands. An example is given by big brand companies such as Coca-Cola, which, as of June 2014, sold over 25 billion of its PlantBottle™ packages in about 40 countries. The company claims this has translated into 525,000 barrels of oil being saved."

*PlantBottle, testo preso dal sito http://www.plantbottle.info/chit/confezione/base.shtml:
"La differenza principale tra una confezione PlantBottle™ e una bottiglia tradizionale in plastica PET consiste nel fatto che per la produzione di una percentuale importante della PlantBottle™, al posto dei materiali di origine fossile, vengono utilizzati materiali fino al 30% costituiti da materie prime rinnovabili"


venerdì 12 febbraio 2021

Transizione ecologica ? Non consumiamo anche le parole alle prossime generazioni

Chiamerete transizione ecologica qualcosa che si misura in Gigawatt di potenza installata, in Km di rotaie AV per rimuovere veicoli dall'asfalto, in numero di veicoli elettrici che si vogliono rimuovere dall'asflato e che rimpiazzano i veicoli termici, in ton/anno di plastica rimpiazzata da altri materiali usa e getta, in ritorni economici di euro spesi nel "green", in posti di lavoro "verdi" creati, in numero di nuove infrastrutture "ma a basso consumo", in numero di nuovi oggetti digitali introdotti "a basso impatto" e che creano "dematerializzazioni", in densità di artefatti umani "ma verdi" ? Non fatelo in mio nome. Il punto di arrivo della transizione sarà l'aumento del PIL e delle concentrazioni patrimoniali "meritocratiche" verdi o la riduzione assoluta delle emissioni di climalteranti, delle polveri sottili, del consumo e degrado di suolo, del degrado delle foreste vergini e antiche, della dispersione di materia e di inquinanti da sintesi chimica in aria acqua e suoli, del consumo di materia e di energia complessiva, del tasso di estinzione di specie, del tasso di alterazione dei cicli chimici vitali, senza gravare ulteriormente su altre aree del pianeta e perseguendo riequilibri sociali ? Siamo attrezzati per provare a spendere decine (centinaia) di miliardi per migliorarci la vita in maniera diffusa includendovi una riduzione assoluta di impronta complessiva ? E da quando ? Lo potremo essere con gli alti profili presunto keynesiani, algoritmi umani di crescita economica meritocratica, con i tattici da mossa del cavallo, i cantieristi per l'ambiente ? Perché, diciamoci la verità, poi, "noi" tutti, tifosi degli uni e degli altri ci siamo attrezzati per transizioni ecologiche e sociali con un minimo di senso appunto di equità e dell'ecologico...così, dall'oggi al domani, a nostra insaputa ? Di certo abbiamo mostrato esperienza sul campo nell'adattare il modello di crescita nefasto ancora attuale ad ogni situazione e stavolta lo verniciamo di verde, a norma di legge e anche fuori norma di legge, lasciando pendenze, debiti e dipendenze in natura e soldi. Ma, in fin dei conti, in tutto questo ci sarebbe del ridicolo e del grottesco, persino, se non fosse anche per il fatto che, consumando termini come "transizione ecologica", non li stessimo sottraendo, entrambi "transizione" ed "ecologica" anche ai nostri ragazzi e alle prossime generazioni. Incentivate pure gli impianti da fonti rinnovabili ovunque, sostituite tutto il parco auto esistente con l'elettrico e spianante anche i territori per aggiungere alta velocità su rotaie per togliere magari proprio i veicoli elettrici dall'asfalto, incentivate le biomasse e le bioplastiche monouso, rendete pure il pianeta più denso di artefatti umani di primo e secondo ciclo, ma almeno chiamatelo business, as usual, cioè come sempre, please. Non partecipo neanche a sto giro.

Limiti critici del pianeta

Limiti critici della biosfera













Francesco P.

martedì 9 febbraio 2021

Elites, anarchia, grandi reset

Le elites - persone di alto profilo, persone perbene, tattici da mosse del cavallo, patrioti, rappresentanti del popolo, benefattori dispensatori di briciole e di lavoro - che decidono per me, per il mio bene, tenendo me, nella pratica e talvolta fin nella teoria, alla larga sono una aberrazione per costruzione.
Al massimo della tolleranza che mi riesce ne ho nausea. Figuriamoci a tifarne gli interpreti piu' o meno rumorosi, piu' o meno espliciti, piu' o meno consapevoli, più o meno filantropi, più o meno dichiaratisi democratici.

Per empatia, forse a causa dei neuroni specchio attribuiti alla nostra specie, tendo a vedere questa esigenza e questo approccio, chiamiamola di anarchia empatica innata, anche negli altri che non sono elite come non lo sono io. 
Ma nel cercare riscontri mi perdo spesso nei labirinti dei pensieri che vedo e sento espressi specialmente in giorni come questi o a ridosso di votazioni ed elezioni.
Ad ogni modo sono convinto che in fondo in fondo ci siano basi abbastanza solide per non disperare definitivamente: il detto tutto sommato sostiene che si nasce anarchici, io aggiungo empatici. Un altro detto vuole che non ci siano poteri buoni. Ritengo sia così e che la pensiamo tutti così.
E che dire, invece, della parodia dell'anarchia ? Quella di chi riesce a svincolarsi e liberarsi dalle esigenze di base per la sopravvivenza - andando ben oltre essa, accumulando spesso grandi ricchezze, privilegi e poteri piu' o meno espliciti - e che insieme ai suoi chierici attribuisce patenti da reietto ad ogni pensiero libero, empatico e che cerca nella conoscenza altra liberta' e progresso nella convivenza.
Penso a quanto sopra quando sento menzionare i grande reset, non ad un nuovo modello di produzione e di consumo, non a stili di vita che altri "meglio di me" ritengono sostenibili in vertici blindati, non a forme di potere - locali, nazionali o sovranazionali di persone competenti - che mi tengono alla larga, nella pratica e persino nella teoria.

Francesco P.

sabato 6 febbraio 2021

Il succo

"Francè... prendi, ti ho fatto la spremuta, so che ti piace... Hai letto come tutti gli economisti attaccano la decrescita ?"

"Eh, sì...Piè, quest'anno non ne sono uscite molte di arance da noi, mi manca. Gli economisti ? Sì, ho letto...crescere all'infinito in un pianeta limitato... non ne usciamo, così. Quella del consumo senza limiti, come la vogliono quasi tutti gli economisti è la nuova ideologia che fa regime"



venerdì 15 gennaio 2021

La scienza, futuri spettrali e decrescita: noi come reagiamo ?

 "Ghastly future", futuro spettrale, questi sono i termini usati da una moltitudine di scienziati in una pubblicazione in cui non credono che arrivi la cavalleria a salvarci da estinzioni di specie a ritmi molto superiori a quelle di fondo, clima e distruzione degli ecosistemi nonchè dei loro servizi che, a loro dire, si autoalimenteranno e si avviteranno con problemi sanitari, sociali ed economici implicando sempre minore lucidità nelle scelte.

"Underestimating the Challenges of Avoiding a Ghastly Future" -> "Sottovalutare le sfide da sostenere per evitare un futuro spettrale"

Aggiungiamoci anche il documento di 4 giorni fa del comitato scientifico dell'Agenzia Europea dell'ambiente (EEA), organo istituzionale dell'UE, che dice che la crescita economica è incompatibile con la sostenibilità, e che bisogna fare proprie le indicazioni che arrivano da economie della decrescita e della post crescita, avvisandoci dei problemi legati anche all'economia circolare che pure sembrava una panacea.

"Growth without economic growth" -> "Crescita senza crescita economica"

Entrambi mettono il bollino scientifico su una sensazione in effetti abbastanza percettibile ed intuibile, per quanto non vi sia alcuna traccia nelle nostre scelte e spesso nelle nostre discussioni.

Consideriamo l'ultima bozza del 12 gennaio 2021 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), alias Recovery plan, alias Next Generation EU o anche le 62 osservazioni al piano di Italia Viva (più che a sogghignare vi invito a riflettere sul fatto che siano gli unici 2 documenti disponibili su come spendere 210-220 mld che si considerano una vincita alla lotteria e pertanto vanno considerati come le loro liste dei sogni, immaginate...) e togliamo per un attimo la tara delle inutili fazioserie e strategie politiche.

Se provate a leggere i paragrafi che parlano di "rivoluzione verde","transizione ecologica", di "green jobs", in relazione anche a tutto il resto (infrastrutture, digitalizzazione/5g) in entrambi i casi (Governo ed Italia Viva) non provate a cercare gli obiettivi reali in termini di biosfera da tutelare, è inutile.
Non troverete riferimenti a soglie o indicatori biofisici che si potranno monitorare e verificare, su cui rispondere in caso di mancato conseguimento (accountability, la chiamano).
Troverete solo un modo diverso di spingere la crescita, usando il motore del mercato del momento, l'"ambiente": infrastrutture ed impiantistica, digitalizzazione e 5G come volani di nuovi sviluppi,  produzioni, traffico e consumi. Non troverete mica stime su consumo di suolo evitato, emissioni evitate (nella prima bozza almeno le emissioni di CO2 c'erano), estinzioni e consumi di habitat evitati, rifiuti evitati, inquinanti da sintesi chimica evitati !? Nulla di tutto questo.

Se arriveranno questi 210-220 mld, oltre a dover immaginare il costo economico e sociale futuro da pagare per queste cifre, aspettiamoci anche scelte irrazionali e profondamente contraddittorie che invaderanno i territori, in nome della transizione verde e dei green jobs. Saranno consapevolmente e beffardamente contraddittorie, da piano.

mercoledì 13 gennaio 2021

Fridays for Future e la loro presunta "bufala del sovrappopolamento"

Riflessioni a seguito della pubblicazione di questo post di FfF, paragrafo "La bufala del sovrappopolamento del pianeta"

Popolazione e consumi: non si dovrebbe porre più utilmente la domanda "dove e come mettere le asticelle di demografia e consumi con attenzione, cura ed equità" piuttosto che asserire seccamente "la sovrappopolazione è una bufala" ? Figlio di Impact=Population x Affluence x Technology (Impatto=Popolazione x consumi pro capite x efficienza tecnologica) quale sono, fatico troppo con la narrazione di FfF che sintetizza i problemi in "sovrappopolazione no, eccesso di consumi pro-capite sì" (lasciamo perdere le accuse di classismo e razzismo), come se la realtà non fosse molto articolata, non solo considerando le tante possibili combinazioni di popolazione e consumi pro-capite ammissibili da un sistema limitato come la nostra biosfera, ma anche in ragione delle condizioni locali sia di densità di popolazione sia di biocapacità e certamente delle condizioni di equità sociale e di cultura: del resto qual è il senso di parlare di sostenibilità, di generazioni future, senza attaccare gli squilibri interni e fra stati ? Non è in dubbio questo, o meglio per me non lo è.

Proviamo a farci un'idea di riferimento su impronte, stili di vita, popolazione senza essere eccessivamente complessi come il tema meriterebbe, pur preservando comunque i fondamenti del tema in discussione e cioe' sostenibilita', equita', qualita' della vita e demografia. Prendiamo come esempio un caso interessante: Cuba.
Secondo il metodo e gli indicatori presi in considerazione dal Global Footprint Network (GFN) - per intenderci quelli del calcolo dell'overshoot day, fra i pochi enti indipendenti a mettere pubblicamente in relazione biocapacità del pianeta ed impronta umana - se tutta la popolazione mondiale avesse l'impronta di un cubano medio del 2017 ci vorrebbero 1.14 pianeti Terra.
La popolazione mondiale del 2017 era di circa 7.5 mld. 
Valutiamo la popolazione "sostenibile alla GFN": 7.5 mld persone / 1.14 pianeti = 6.6 mld persone/pianeta circa.

Insomma, secondo il GFN le "risorse" di 1 pianeta Terra (disponibili al 2017) sarebbero sufficienti se fosse abitato da 6.6 mld di persone con lo stile di vita di un cubano medio (del 2017).
Perchè Cuba ?

1) Ha un rapporto aspett. di vita media / PIL tra i migliori
2) E' tra gli stati del punto 1) che più si avvicinano ad 1 pianeta di "fabbisogno"
3) Non è, ancora, ascrivibile fra i Paesi occidentali  (nel senso che non sono affetti da grossi livelli di diseguaglianze) 
4) Abbiamo tutti, chi più chi meno, una qualche idea del loro stile di vita, su cui fare paragoni.

Possiamo trarre come conclusione da quanto sopra - per quanto i numeri non vadano presi per oro colato ma come indicativi - che possiamo permetterci, ai fini della sostenibilità, gli stili attuali e congiuntamente trattare la sovrappopolazione come una bufala ? Credo di no.

Vivere come cubani non è vivere come italiani (dobbiamo più che dimezzare la ns impronta) , ma neanche come un abitante dell'Africa centrale (lasciare loro la libertà di accedere a risorse, cultura e servizi che permettano loro di "salire" alle condizioni dei cubani), così come 6.6 mld non sono 7.8 mld (siamo in troppi anche come "cubani").

Non so se il GFN soffra di bias da bianchi benestanti (o se sia parte del complotto, propagatore di bufale) ma già messa così (e non sono un esperto, quindi mi sfuggono chissà quanti ordini di grandezza di complessità), cioè con numeri che parlano solo di consumi e di popolazione complessiva (per quanto da controllare e ricontrollare), come facciamo a semplificare messaggi indirizzati a diffondere il concetto di sostenibilità con un secco, accusatorio e semplificatore "la sovrappopolazione è una bufala da razzisti bianchi benestanti" senza confutare chi, esperto con metodo, dice il contrario ? 
Un interlocutore come FfF, fatto di ragazzi, studenti, da cui ci si aspetta spinta, domanda di scienza ed anche offerta di scienza (ricordate gli inviti di Greta a seguire la scienza ?) mette il dibattito sulla sostenibilità su una strada non certo agevole, quanto meno di semplificazione eccessiva (per esperienza  quando per qualche motivo non la si racconta tutta in un contesto nuovo inizio a pensare a sintomi di cattivi retroscena, vediamo).

NB: Il metodo di calcolo del GFN, che ho usato come riferimento per le valutazioni, ottempera ad esigenze di semplicita' del messaggio finale (numero di pianeti necessari) e di articolazione degli indicatori presi in considerazione per farne sintesi, fra i piu' completi che si trovano in giro. Ad ogni modo l'impronta ecologica presa in considerazione manca di valutazioni sui contributi alla sostenibilita' dati per esempio dalla biodiversita' , senz'altro un altro grande indicatore di salute dello stato del pianeta da introdurre nel calcolo. Ne concludiamo che i numeri sono finanche ottimisti e molto probabilmente la popolazione "cubana" sostenibile sul pianeta e' da rivedere verso il basso.

Francesco P.