Il giorno 23/07/2019 il Comune di Puglianello ha ricevuto la richiesta di realizzare sul proprio territorio un impianto di digestione anaerobica per la produzione di biometano da ben 90.000 tonnellate annue di reflui zootecnici e biomasse da parte della società Agricola Sannio Biometano a RL di Gambuti Angelo di S.Salvatore Telesino in partenariato con una ditta di consulenza di Torino (EPF Consulting).
L'amministrazione comunale di Puglianello ha quindi tenuto, il giorno 02/09/19, un consiglio comunale, con ordine del giorno dedicato unicamente all'impianto, in cui la maggioranza consiliare ha votato dichiarandosi "fermamente contraria" alla sua realizzazione, perché i cittadini di Puglianello non vogliono assolutamente impianti di queste dimensioni sul loro territorio, mentre la minoranza si e' astenuta.
L'ufficio tecnico, il giorno 04/09/2019 ha espresso il suo parere contrario alla realizzazione.dell'impianto, purtroppo in ritardo rispetto alle tempistiche previste dalla procedura PAS pertinente a questo tipo di strutture.
Nel frattempo il giorno 16/09/19 abbiamo avuto accesso in lettura alla documentazione presentata dai proponenti, in quanto cittadini interessati dall'impatto dell'impianto che si realizzerebbe a qualche chilometro in linea d'aria dalle nostre abitazioni, nel territorio di S.Salvatore Telesino.
Il giorno 20/11/19 il Comune di Puglianello, con delibera di Giunta n.178 ha dichiarato di volersi costituire per opporsi al ricorso al TAR, acquisito il giorno 10/11/2019, e presentato da Sannio Biometano a RL nella persona di Angelo Gambuti.
Al momento non sono noti i dettagli del ricorso.
L'impianto proposto verrebbe realizzato in Via Cese I a Puglianello e occuperebbe quasi 3 ettari di terreno. Come per tutti i biodigestori, per il solo funzionamento, ha bisogno a sua volta di molta energia e quindi sono previsti un grande impianto fotovoltaico ed una centrale di cogenerazione (che bruciando gas produce energia elettrica e calore), a questo vanno aggiunti, nel conto energetico, il traffico di camion sia per il trasporto delle 90.000 tonnellate annue di materiale in ingresso (le zone di approvvigionamento distano anche decine di chilometri) sia per il trasporto dei materiali in uscita.
Non e' dato sapere al momento né dove sarebbe destinato il digestato (il grosso del materiale in uscita dai digestori) che viene di solito presentato come materiale da sversare nei campi - con tutto il potenziale di inquinamento dei suoli coltivati, delle falde e della nostra catena alimentare, non essendo specificata nella documentazione la qualità di ciò che entra nell'impianto - né la destinazione delle acque e dei liquidi introdotti ed utilizzati nell'impianto.
Va precisato, infatti, che se gli effluenti zootecnici e le biomasse in ingresso sono contaminati da metalli, detersivi, antibiotici e pesticidi tali restano anche all'uscita dei biodigestori, che non sono di per sé dei laboratori di depurazione o di controllo chimico, tanto più se non sono previste sezioni di progetto dedicate a tale scopo.
Non a caso, parlando con un allevatore di Puglianello, è venuto fuori che la criticità principale, motivo del rigetto prevalente fra gli operatori zootecnici locali, è l'obbligo di dover ritirare il digestato da parte di chi vi conferisce i propri effluenti: c'è una forte preoccupazione, purtroppo fondata, nel dover spargere nei propri campi un materiale che una volta entrato nell'impianto perde ogni connotazione di tracciabilità e di garanzia sanitaria ed ambientale (ricordiamo, peraltro, che non entrano solo rifiuti e deiezioni da allevamenti animali, ma anche residui e biomasse vegetali). Può sembrare una preoccupazione egoistica, forse lo è, ma deve farci riflettere sui rischi che noialtri correremmo a consumare cibo prodotto con del digestato con queste premesse.
Non a caso, parlando con un allevatore di Puglianello, è venuto fuori che la criticità principale, motivo del rigetto prevalente fra gli operatori zootecnici locali, è l'obbligo di dover ritirare il digestato da parte di chi vi conferisce i propri effluenti: c'è una forte preoccupazione, purtroppo fondata, nel dover spargere nei propri campi un materiale che una volta entrato nell'impianto perde ogni connotazione di tracciabilità e di garanzia sanitaria ed ambientale (ricordiamo, peraltro, che non entrano solo rifiuti e deiezioni da allevamenti animali, ma anche residui e biomasse vegetali). Può sembrare una preoccupazione egoistica, forse lo è, ma deve farci riflettere sui rischi che noialtri correremmo a consumare cibo prodotto con del digestato con queste premesse.
D'altronde, diversamente dalla gestione aerobica in autoconsumo e con approccio a ciclo chiuso, da parte degli allevatori e degli agricoltori che producono le biomasse vegetali, i gestori di questi impianti industriali di dimensioni medio-grandi sono esclusivamente interessati a massimizzare la produzione di gas, non certo a produrre un ottimo e sicuro compost da utilizzare nei campi. Del resto se si leggono i bilanci di queste attività industriali il digestato compostato ha sempre un valore economico molto marginale rispetto al gas incentivato: quanti soldi ed energia vorranno dedicare per garantire sanità ed ambiente ? Immaginiamo poi quanti per garantire le giuste proporzioni di matrice organica per fare compost e rigenerare i terreni chiudendo il cerchio.
A queste problematiche vanno aggiunti: la possibile formazione di spore di botulino, i rischi di sversamento per perdita dei liquami nei campi circostanti, i rischi fisiologici di fuoriuscita di metano - un gas serra - nelle varie fasi di processo, insieme ad una maggiore emissione di CO2 in atmosfera rispetto all'approccio aerobico considerando il successivo impiego del biometano, le emissioni dei trasporti, le fasi di compostaggio del digestato.
Lo stesso impianto è fonte di emissioni odorigene in tutte le sue fasi di lavoro, per la presenza di stoccaggi e movimentazione di effluenti, per la possibile presenza di ammoniaca, in assenza di sezioni di abbattimento dedicate; non va peraltro trascurato l'eventualità ed il malcostume di difficile verifica per cui sebbene la tecnologia di abbattimento sia presente, questa non venga attivata perché magari energeticamente costosa. Saranno inoltre presenti emissioni legate alla combustione necessaria all'esercizio del digestore.
Nel considerare questo tipo di impianti, nella ipotesi ideale di presenza di ogni tipo di accorgimento tecnico per le garanzie sanitarie ed ambientali, va assolutamente sottolineato che tutta la materia organica che li alimenta (di certo non gestita per migliorare i suoli) subisce trasformazioni che impoveriscono sostanzialmente il contenuto nutritivo rispetto all'alternativa del compostaggio aerobico: nel processo anaerobico si ha infatti notevole riduzione del contenuto in carbonio e della massa di compost utile in agricoltura, tutta materia rinnovabile, questa sì, sottratta ai cicli biologici naturali di cui non si può fare a meno pena il degrado progressivo dei suoli.
Un ulteriore rischio da non sottovalutare, poi, è la coltivazione di vegetali dedicata ed utilizzata per incrementare le rese nella produzione di gas: comporterebbe la sottrazione di suoli per usi primari come ad esempio la produzione di cibo oltre a intensificare la presenza di monocolture.
Un ulteriore rischio da non sottovalutare, poi, è la coltivazione di vegetali dedicata ed utilizzata per incrementare le rese nella produzione di gas: comporterebbe la sottrazione di suoli per usi primari come ad esempio la produzione di cibo oltre a intensificare la presenza di monocolture.
Ritornando alla questione energetica, rammentiamo che in generale gli impianti di digestione anaerobica - dalla tecnologia molto complessa se si devono garantire la necessaria sicurezza in fase di esercizio (es.: sovrapressione del gas, riduzione delle emissioni, ecc) e la pulizia/filtraggio dei prodotti e dei sottoprodotti di lavorazione - hanno bisogno di notevoli quantità di energia e non a caso le ricerche dimostrano che é necessario 1 kwh di energia per produrre a sua volta 1,8 kwh di energia dal biogas: non hanno quindi assolutamente senso dal punto di vista strettamente energetico (per avere un termine di paragone, il fotovoltaico mediamente si attesta su 11-12 kwh prodotti per 1 kwh speso, secondo una ricerca sulle conclusioni di centinaia di studi).
Pertanto l'unica reale convenienza, economica, è tutta del titolare dell'impianto che ha il solo interesse a massimizzare la produzione di gas in presenza di incentivi garantiti dalla legge (la quale classifica a torto, viste le considerazioni di cui sopra, il biometano come una fonte rinnovabile) ed a fronte di costi economici e rischi ambientali che ricadono sulla comunità.
PS: Alla richiesta presentata il 17/09/19 al Comune di Puglianello per ricevere una copia degli atti da portar via e rendere pubblica, la societa' proponente, mediante una lettera del suo legale, si e' opposta, adducendo fra le motivazioni la finalità, da parte nostra, di voler visionare un progetto "contenente dati sensibili e know how aziendali", non essendo portatori di alcun interesse specifico. Questa chiusura sulla documentazione la dice lunga sulla vicenda, se avrà un seguito.
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