martedì 18 settembre 2018

Post growth

In che modo immaginiamo che il parlamento europeo, all'uscita di questi incontri (vedi link del programma) con alcuni volenterosi, possa reagire e dirci che noi europei dobbiamo passare dal consumo di 4.5 ettari (global hectares, gHa) pro-capite di risorse (2 volte la disponibilità offerta dal territorio UE) a 1.7 gHa che è l'attuale disponibilità media pro-capite (bio-capacità) data dal pianeta e che chi ha consumi inferiori a 1.7 gHa deve essere lasciato libero di arrivarci, se vuole (aiutiamoli a casa loro...) ? E che dire della redistribuzione interna...
L'apertura dell'incontro è compito di tal Tajani.

Possibili reazioni:
-Tiro ad indovinare 1: "Solo perseguendo una crescita sostenuta potremo risolvere i problemi della mancanza e del degrado delle risorse"

-Tiro ad indovinare 2: "Ok, ma quando parliamo di problemi importanti ?"

-Caso peggiore: "E' un argomento che dobbiamo affrontare con assoluta urgenza"

Nota 1: Sì, è il famoso concetto di overshoot che ultimamente ci piace festeggiare ogni anno con un giorno in anticipo.
Nota 2: Sì, è il famoso concetto dell'occupare gli spazi per svuotarli di significato. E' già avvenuto in Italia, grottescamente, con il M5S.

Link al programma di incontri: https://www.postgrowth2018.eu/programme/




giovedì 13 settembre 2018

Uragani: è una mia percezione o... ?

Un'autostrada a senso unico per entrambe le carreggiate: quello della fuga dall'uragano Florence (attualmente ancora di cat.2, sembra che il problema specifico di questo uragano possa essere la sua persistenza e l'ampiezza della zona colpita, nonchè il bacino di popolazione impattato). Impressionante vedere esodi con queste caratteristiche.
Qui link al video Stimolato da questo ultimo evento meteo in ordine di tempo (nemmeno tra i peggiori in termini di intensità), sperando di non essere caduto nella classica trappola del bias (diciamo anche pregiudizio) o nel rischio di condizionamento mediatico da eventi clamorosi, nonche' preso anche dal dubbio che "sembra se ne contino di piu' perche' abbiamo piu' strumenti o perchè ci faccio più caso ultimamente", sono andato a visitare il sito della National Hurricane Center (Dipartimento uragani del NOAA - National Ocean and Atmospheric Administration). messo insieme un po' di dati e fatto un po' di conti. E' subito interessante notare che nel complesso, considerando gli uragani "major", cioè quelli di categorie da 3 a 5 (venti dai 200 kmh in su), per il solo Atlantico, se ne contano:
- 66 nel periodo 96-2015 (20 anni), media 3.3 urag/anno - 129 nel periodo 1930-1995 (66 anni), media 1.95 urag/anno. I 20 anni dal 1945 al 1964 sono il ventennio, a partire dal 1930, che presenta la media che piu' si avvicina a quella del ventennio 1996-2015, con cioe' 60 uragani in 20 anni, pari a 3 urag/anno contro, appunto, 3.3 urag/anno. Significa che i 20 anni consecutivi del periodo 1996-2015 o sono il ventennio più sfortunato per uragani "major" oppure boh Considerando gli uragani della sola categoria 5 (venti con velocità maggiori di 260 kmh), dai dati estrapolati dall'archivio della NHC da parte del sito Weathernet, se ne contano (cumulativamente per gli oceani Pacifico ed Atlantico): -20 nel periodo 2001-2018 (17 anni), media 1.11 urag./anno -16 nel periodo 1966-2000 (35 anni), media 0.46 urag/anno Sembra, in effetti, che ci sia uno sbilanciamento nella frequenza di eventi estremi verso gli ultimi 20 anni. Ci sara' qualche fenomeno strutturale ed inspiegabile in atto ? Nota 1: NON sono un meteorologo NE' un climatologo, sarebbe interessante trovare un riscontro autorevole* sulle tendenze in qualche sito specialistico (non tanto per dubbi sui numeri quanto sulla validità del metodo per trarre qualche conclusione che vada oltre le percezioni) Nota 2: Bisogna tenere presente che il primo satellite geo-stazionario con funzioni meteo e' stato lanciato nel 1966: da quest'anno in poi le osservazioni hanno presentato il massimo dell'affidabilita' sulla caratterizzazione degli uragani. *Un riscontro autorevole (Nota informativa di Vincenzo Ferrara) che fa notare che anzichè seguire la strada delle frequenze delle intensità massime (velocità massime dei venti al suolo) raggiunte (scala Saffir-Simpson) ha molto più senso parlare delle potenze/energie sviluppate se si vuole trovare una correlazione coi cambiamenti climatici. Sembra che le sole intensità seguano delle ciclicità.

-Francesco Pascale

giovedì 23 agosto 2018

Ponti, edlizia, crescita: Riflessione pre-politica

Premessa
Questo post vorrebbe essere una riflessione prepolitica, ben consapevole del fatto che risultera’ fascinoso e trendy come un paracarro arrugginito oppure come un discorso sui limiti fisici imposti all’uomo, che spinge verso crescite con tasso composto, “esponenziali” - della popolazione, dei consumi pro-capite, di nuove tecnologie resource intensive -, da parte del pianeta che non le regge o meglio le regge ma non necessariamente con evoluzioni ed esiti che potranno essere piacevoli per l’uomo stesso...ma sento il bisogno di scriverlo ugualmente
--- Abbiamo “decine di migliaia” di ponti in scadenza naturale (considerando come fattore limitante il calcestruzzo armato) in Italia, a detta del dir. del CNR (1) e molti sono stati per di piu’ progettati con stime di traffico a quanto pare non accurate (il traffico e’ cresciuto esponenzialmente negli ultimi 60 anni, in maniera tutto sommato imprevedibile negli anni 50-60). A questi, perche’ accomunati nel mio ragionamento, aggiungiamo tutte le altre strutture (edifici di ogni genere) ed infrastrutture che necessitano di manutenzione o che vanno introdotte per attenuare i rischi legati ai sismi ed al famigerato dissesto idrogeologico. Tra pubblico e privato, con questa o quell'altra amministrazione di questo o quell’altro livello, tutto quanto sopra andrebbe gestito con nuovo uso di: energia, sabbia di grado edilizio, ghiaia, cave, acciaio, plastica (secondo PlasticsEurope (2), l’associazione europea dei produttori di plastica, all’ edilizia e’ destinato il 20% della plastica totale usata in Europa, seconda solo al packaging) oltre a dover far fronte a costi economici che sono valutati (dal Consiglio Naz.le degli ingegneri) in piu’ di un centinaio di mld di eur (una ventina di mld di eur per i soli “ponti” secondo una stima sempre del dir. del CNR, A. Occhiuzzi) (1).
Le risorse materiali utilizzate in edilizia - a causa della gestione dell’intero ciclo di vita degli elementi dell’elenco di cui sopra emergono crisi con frequenza quasi settimanale in Italia - sono anch’esse limitate (ancor più di quelle finanziarie, che si sa non rispettano le leggi della natura se non nel lungo termine) e la natura sostanzialmente estrattiva e lineare della filiera delle costruzioni crea danni irreversibili ad interi sistemi in tutto il loro percorso, dalla culla alla tomba, danni tanto piu’ gravi quanto piu’ si sale di livello nella difficolta’ di estrazione dei materiali stessi ad essa necessari (quanto piu’ “si sale in altezza per raccogliere i frutti dell’albero”). In varie aree del mondo, proprio per far fronte al problema “esaurimento” risorse per l’edilizia (siamo agli ultimi pioli della scala ?), si è messa in atto una ricerca affannosa (3) di alternative ai materiali tradizionali adottati, e questo principalmente a causa dell’ intensificarsi delle estrazioni che servono per far fronte alla costruzione di case e strade la cui domanda e’ cresciuta esponenzialmente (anch’essa..., ma non e’ un caso) negli ultimi decenni, specialmente in alcuni paesi asiatici, arrecando notevoli danni a fiumi, laghi ed altri sistemi piu’ o meno naturali in varie zone del mondo. Riferendoci alla sola sabbia e’ il caso di leggere, il motivo lo suggerisce il titolo, il rapporto delle Nazioni Unite “Sand, rarer than one thinks” del 2014 (4a)(trad.: “Sabbia, piu’ rara di quanto si immagini”) citato e commentato nell’articolo in italiano de Il Post (4b) e che raccoglie una serie di risultati e dati di studi relativi ai problemi nell’uso e nella “produzione” della sabbia per le attivita’ umane. Alcuni estratti del rapporto ONU, tradotti dall’inglese: - “[...] Una stima conservativa del consumo mondiale di aggregati (sabbia e ghiaia, fondamentalmente, ndt) per l’edilizia supera i 40 mld di tonnellate l’anno. Che e’ il doppio del sedimento annuo trasportato da tutti i fiumi del mondo [...]” - “[...] La domanda continua a crescere con le nuove infrastrutture e con la manutenzione dell’esistente (strade, ponti (sic !!!), dighe, case) [...]“. -”[...] La domanda di cemento della Cina e’ cresciuta esponenzialmente del 437.5% in 20 anni, mentre nel resto del mondo e’ cresciuta del 59.8 %” Nelle conclusioni: - “[...] Il loro uso (di sabbia e ghiaia, ndt) eccede di gran lunga il tasso di rinnovo naturale (che e’ fittizio anch’esso, ndt). Gli effetti negativi sull’ambiente sono inequivocabili e riguardano il mondo intero. Il problema ora e’ talmente serio che l’esistenza degli ecosistemi fluviali e’ minacciato in varie zone del mondo [...]”. (Commento a margine: vabbe’ anche all’ONU hanno problemi con questi decrescitisti...) La ricerca di nuove soluzioni “tecnologiche” per i materiali dell’edilizia, comunque, nel caso di un qualche successo, forse sposterebbe solo il problema nel tempo, rendendolo magari più complicato ed acuto da gestire quando si raggiungeranno i nuovi termini di scadenza dettati dai limiti delle eventuali nuove tecnologie in adozione. A questo proposito, consiglio la lettura dell’articolo di U.Bardi (5) nel paragrafetto in cui accenna (per gli approfondimenti seguire i riferimenti biblio) alla relazione tra il c.d. dirupo di Seneca - secondo cui “il declino è più rapido della crescita”- e le tecnologie, anche quelle che migliorano l’efficienza, in un sistema a risorse limitate, ma votato alla crescita illimitata (a proposito di illimitatezza, avete notato quante volte appare il termine “esponenziale” nel post ?) dei consumi. Ci sono, poi, in tanti in giro - uno di questi l'ho linkato in fondo (6) - che riscuotono molto successo in questi giorni, con migliaia di condivisioni sui social, e che dicono che i disastri accadono perchè ci si oppone alla realizzazione di nuove infrastrutture, perchè si resiste al progresso ed allo sviluppo.
In un sistema con risorse limitate, su un territorio che per di piu’ i geologi si ostinano a descrivere come piu’ fragile, mediamente, della quasi totalita’ delle altre regioni europee e frequentemente soggetto a eventi critici acuti (alluvioni, frane, valanghe e sismi), sarebbe da capire quanto sia “contro il progresso” ed “anti-scientifico” mirare al consolidamento dell'esistente che sarebbe gia’, nelle condizioni attuali, un obiettivo che andrebbe forse oltre i limiti del raggiungibile, se preso seriamente, piuttosto che giocare al rialzo con nuove grandi infrastrutture le quali, oltre a complicare ulteriormente il sistema delle manutenzioni, sottrarrebbero ulteriore spazio ad un altro bene fondamentale e non rinnovabile come il suolo. P.S.: Mentre scrivevo questo post, non mi ero accorto che il prof. Bardi aveva gia’ parlato del tema delle infrastrutture in un articolo, sottolineando in maniera efficace il rapporto con l’economia della crescita e dei limiti, e quindi la natura strutturale (e non episodica) del problema manutenzione/nuove costruzioni. Ne consiglio la lettura dato che riporta altri spunti, in aggiunta a quelli di semplice buon senso del mio post, seguendo questo link (1)https://www.cnr.it/it/nota-stampa/n-8247/direttore-cnr-itc-sul-viadotto-morandi-di-genova (2) https://www.plasticseurope.org/application/files/5515/1689/9220/2014plastics_the_facts_PubFeb2015.pdf (3)http://www.ingegneri.info/news/innovazione-e-tecnologia/nuovi-materiali-per-ledilizia-due-tipologie-di-sabbia-artificiale/ (4a)https://na.unep.net/geas/archive/pdfs/GEAS_Mar2014_Sand_Mining.pdf (4b)https://www.ilpost.it/2017/05/30/sabbia-rara/ (5)https://ugobardi.blogspot.com/2011/09/effetto-seneca-perche-il-declino-e-piu.html
(6)https://www.corriere.it/editoriali/18_agosto_14/genova-crolla-ponte-morandi-paese-che-diffida-progresso-1507b3be-9ff6-11e8-9437-bcf7bbd7366b.shtml

-Francesco Pascale

venerdì 8 giugno 2018

Raddoppiano... e noi ?


Lo scorso mese di dicembre è apparso sul sito istituzionale del comune di S.Salvatore Telesino il progetto definitivo dell'ANAS per il raddoppio della Caianello-Benevento (SS372 - Telesina), con l'elenco degli espropri.

Sessanta ettari da impegnare - oltre all’abbattimento di alcune abitazioni - per la sola tratta relativa al primo lotto di lavori, che dovrebbe andare da S.Salvatore a Benevento e per cui S.Salvatore di fatto ospiterà il cantiere principale.

Un’opera fortemente impattante, sia in fase di realizzazione che in fase di esercizio, sulla vita dei cittadini e sul  territorio, approvata senza nessuna forma di coinvolgimento delle comunità locali.

A fronte di sicure negatività non sono nemmeno reperibili analisi e stime del traffico su gomma che si vuole servire, né valutazioni sulla sovrapposizione, di fatto, fra la Telesina - che si dichiara essere una bretella fondamentale di collegamento fra Roma e Bari - ed il TAV Roma-Napoli-Bari.

Nessuno degli amministratori locali che abbia sentito il bisogno di spiegare perché si sia scelto di accettare questa nuova opera senza alcuna considerazione delle reali necessità dei territori coinvolti. Nel caso specifico di S.Salvatore il Sindaco ha ripetutamente ignorato le nostre tante richieste protocollate relative alla pianificazione del territorio comunale.
Per non parlare dei vecchi e nuovi candidati.

Ciò conferma che siamo costretti a subire le priorità, la visione e l'agenda dettate dagli appetiti dei costruttori, come dimostrato dalla molto mediatica e clamorosa accoglienza riservata all'ANCE (Ass,ne Naz,le Costruttori Edili) e a Confindustria

Se il traffico su gomma aumenterà realmente come auspicato dai proponenti, e soprattutto se al servizio di una prospettiva industriale del territorio, le ripercussioni in termini di inquinamento, per una valle come la nostra, potrebbero diventare realmente serie ed irreversibili, in primo luogo per la salute e poi per le ricadute negative sulle produzioni agricole.

E’ noto, d'altronde, che le grandi infrastrutture sottraggono valore laddove si voglia perseguire quell’economia, che a parole tutti auspicano, fatta di produzioni locali credibili ed accessibili a tutti, fatta di fruizione del paesaggio e di turismo responsabile, salvo procedere nei fatti in direzione opposta, col rischio, concreto, di aggiungere le nostre valli alle tante altre aree metropolitane e periferiche già presenti ovunque.

Eppure, nessuno si ribella e chiede conto delle scelte effettuate sulle nostre teste.

Tutto ciò mentre abbonda la  retorica sull’eccellenza delle nostre produzioni e su quanto valga la nostra terra e sul diritto a fruire di cibo, terra, aria, acqua sani.

D’altra parte lo stato in cui versa l’agricoltura è molto critico  (come  in gran parte dell’Italia ),  per esempio, l’uva si raccoglie per svenderla a 20 centesimi al kilo e ciò spiega anche l’atteggiamento  dei proprietari che non si ribellano agli   espropri dei loro terreni per una strada, un binario, una pala eolica o una trivellazione.

Anche partiti, sindacati, amministrazioni, associazioni di categoria tacciono senza neanche indignarsi per una violenza simile, rinunciando nei fatti ad esercitare quel ruolo di rappresentanza, difesa del territorio e delle sue specificità che mai mancano di rivendicare come proprio....Nel frattempo disponibili a subire disagi per i prossimi (cinque ? dieci ?) anni, a sopportare  ruspe, camion, sconvolgimenti territoriali per l’esecuzione dei lavori, spesso dati in subappalto a ditte legate  a famiglie mafiose, come già verificatosi in passato per opere simili.

Uno scempio che si consuma nella diffusa e malcelata convinzione che gli eventuali vantaggi futuri di grandi opere, come il raddoppio della Telesina o l’alta velocità ferroviaria,  ci ripagheranno della terra sventrata, delle case abbattute, dei vigneti distrutti, sostituiti  da capannoni sospetti e sommersi dalle polveri inquinanti prodotte dall'aumento del traffico.

Come se non bastasse tutto ciò che il Sannio già subisce quotidianamente con discariche, impiantistica dedicata a rifiuti speciali, eolico, perforazioni per la ricerca di gas e petroli, innumerevoli ed estese zone industriali, terre di nessuno e dense di tanti piccoli impianti a volte molto pericolosi.

Nella attuale impossibilità di relazionarci con istituzioni che finora hanno disatteso qualsiasi istanza di dialogo, ci chiediamo se anche "il silenzio del territorio", anche di chi lavora per riqualificare l’agricoltura, il turismo, la vivibilità, debba interpretarsi come rassegnazione alla trasformazione  di queste terre in una piattaforma logistica per servire interessi di pochi.

O si può ancora pensare, pretendere un futuro diverso, e riprendersi il diritto di decidere senza delegare?